Capitolo 31 |Vino e Sentimenti|

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L'Italia.
Meglio conosciuta come "il bel paese"

In diciassette scialbi anni di vita sulla terra non ero mai uscita al di fuori dei confini della Francia.
I miei "viaggi" -se così potevano essere definiti- si limitavano a disorganizzate gite scolastiche in piccole località nei dintorni.
Per me viaggiare era un sogno proibito, troppo rischioso per una come me.
O almeno era ciò che mi è sempre stato detto.

Gli italiani sono esattamente come te li immagini: sorridenti, ospitali, generosi e anche un bel po' rumorosi. Tante storie da raccontare e le loro mani sempre pronte ad accompagnare il discorso.
E come se in qualche modo ti accogliessero indirettamente con caloroso abbraccio di benvenuto.
Profumano di tradizione, passione e amore.

Ad ogni metro che facevamo c'era un'artista di strada diverso.
Musicisti e cantanti erano i più frequenti. Gente troppo brava per essere notata dai passanti, eccessivamente inebriati dai piaceri mondani.

<Soleil> venni richiamata.
<Si?> risposi confusa, girandomi verso Xavier.
<Hai fame?>.
In quel momento mi ricordai di avere uno stomaco che quasi subito iniziò a protestare.
<Direi proprio di sì> dissi sorridendo.

Sorrise a sua volta.
<Perfetto. Ti porto in un posto> prese la mia mano, iniziando ad incamminarsi spedito.
Attraversammo le affollate stradine del posto. Riuscii a sentire l'odore di fritto e di panni puliti.
Sopra le nostre teste svolazzavano candidi lenzuoli bianchi stesi su fili logori.
Gli edifici erano un po' vecchiotti ma a parer mio non avevano nulla da invidiare a ville o attici lussuosi.
In quelle case c'era la storia di migliaia di famiglie, storie fatte di costumi e tradizioni.

<Eccoci> annunciò Xavier.
Rivolsi il mio sguardo davanti a me, osservando l'insegna di quello che doveva essere un ristorante italiano doc.
<"Restorante da zio Luco"> lessi con una pronuncia pressoché penosa.


<È "ristorante" angioletto> mi corresse.
<"Ristorante da zio Luco"?> ripetei dubbiosa.
<"Lucio" non "Luco"> mi corresse nuovamente, trattenendo a stento una risata.
Mi indispettii difronte al suo evidente divertimento.
<Possiamo mangiare o vuoi continuare a deridere il mio inesistente italiano?> lo linciai.

Il suo sorriso si allargò maggiormente.

Dannazione.
Era possibile rimanere così estasiati difronte un semplice sorriso?
Anzi, non un semplice sorriso. Il suo sorriso.

Cara Soleil, fattelo dire: sei cotta e stracotta.

<Permalosa> mormorò provocatorio.
<Presuntuoso> contrattaccai.
Sembravamo due bambini che litigavano per un insulso giocattolo.

Entrammo insieme nel piccolo ristorante.
Il posto era piccolo ed accogliete, nessun arredamento pretenzioso.
I tavoli erano così tanti che la gente sembrava stare in una scatola di sardine ben compressa, eppure a nessuno sembrava dar fastidio.
Voci allegre e grandi sorrisi animavano il ristorante.

<Buonasera signori!>.
Difronte a noi si piazzò un uomo alto e panciuto, sicuramente di mezza età.
Il suo suo sorriso fu contagioso e nonostante non avessi capito cosa ci avesse detto sorrisi a mia volta.

<Salve. Un tavolo per due grazie> parlò Xavier.
La sua pronuncia era impeccabile.

Oltre che dannatamente sexy.

<Certo! Seguitemi, si è liberato proprio ora un bel posticino in terrazza> farfugliò l'uomo.
Lo guardai con occhi sgranati. Anche se avessi saputo parlare quella lingua penso che avrei comunque avuto difficoltà a capirlo. Parlava come un treno in corsa.

𝐀𝐫𝐜𝐚𝐧𝐞 𝐀𝐜𝐚𝐝𝐞𝐦𝐲 | 𝘓𝘢 𝘮𝘶𝘵𝘢𝘧𝘰𝘳𝘮𝘢 |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora