Capitolo V

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                                                        Capitolo Quinto

Come sempre la sera dopo cena, io e Frank eravamo ognuno disteso nel suo letto al buio e parlavamo.
Raramente le nostre conversazioni erano allegre e spensierate da quando era morta Lucy, e quella sera non faceva eccezione.
“Non ha senso” fece ad un certo punto Frank.
“Cosa?” domandai confuso.
“Tutto questo: la morte, la vita, il dolore. Non hanno senso.” Capii che cosa voleva dire e annuii nell’oscurità.
“Hai ragione” gli dissi, “ma non ci possiamo fare nulla.”
“Non dovrebbe essere così, è ingiusto.” Purtroppo aveva di nuovo ragione.
“È la vita che è ingiusta, e non possiamo cambiare le cose.”
“Certe volte” cominciò, “penso a come sarebbe la mia vita se avessi una famiglia vera, ma non riesco ad immaginarmela. Semplicemente perché non fa parte di me. Non so se vorrei vivere normalmente.”
“Frankie?” lo chiamai.
“Uh?”
“Non mi hai mai raccontato perché sei finito qui” dissi velocemente.
“Non me l’hai mai chiesto” osservò lui. Be’, era vero, ma pensavo che lui non volesse parlarne.
“Ti va di dirmelo?”
“Va bene, ma non è molto interessante come storia.” Sentii che si muoveva sul letto. “Non mi ricordo molto. Quando sono arrivato qui avevo sei anni e i ricordi degli anni prima sono confusi. Comunque, abitavo con i miei genitori, ma mio padre non era mai a casa e quando tornava la sera tardi era ubriaco e spesso picchiava mia madre. Una giorno i vicini sentirono le urla e chiamarono la polizia. Mi hanno affidato agli assistenti sociali e mi hanno portato qui. Fine.”
Non pensavo avesse una storia così, davvero non lo pensavo. Doveva per forza avere un motivo per essere in una casa-famiglia, ma semplicemente non pensavo fosse quello. Quando conosci una persona, di solito, non stai a pensare a ciò che ha vissuto prima, o comunque se lo fai, ipotizzi cose semplici e comuni. Da quello che sapevo io, nessuno in quella casa aveva delle storie semplici, ma per lo più erano rimasti senza un genitore e l’altro non riusciva nemmeno a fare la spesa.
Mi voltai verso Frank. Anche se era buio riuscivo a intravederne il profilo.
“Picchiava anche me certe volte.” Pronunciò quelle parole pianissimo. Se non fossi stato attento mentre le pronunciava non avrei nemmeno capito. Rimasi un attimo paralizzato dalla sua affermazione.
Chi poteva avere il coraggio di picchiare una creatura del genere? Anche il più fottuto pazzo scatenato ci avrebbe pensato due volte prima di torcere un capello a Frank. Lui non meritava nulla di male, lui meritava e necessitava solo di amore.
Intravidi un luccichio nei suoi occhi.
“Io…” cominciai, “non pensavo.”
“Non fa niente, non ti devi preoccupare.” Dalla sua voce capii che era sull’orlo delle lacrime.
Mi scostai le coperte di dosso e scesi dal mio letto. Cercai di non picchiare contro qualcosa e poi mi infilai nel letto di Frank. Non appena mi distesi lui poggiò la testa sul mio petto e cominciò a piangere silenziosamente. Gli passai un braccio attorno alle spalle e comincia ad accarezzargli i capelli delicatamente. Erano davvero soffici, sarei potuto stare tutta la notte ad accarezzarli e non mi sarei mai stancato.
Non era giusto che delle persone così fantastiche dovessero soffrire in quella maniera, quando c’era gente ricca e insulsa che se la godeva. Non so chi avesse dettato quella legge assurda, ma sicuramente se avessi potuto l’avrei cambiata. Io averi dato la vita per vederlo sorridere per sempre, per sapere che sarebbe stato tutta la vita felice e spensierato. L’avrei data davvero. Non mi importava di nient’altro se non di lui, mi curavo solo di come stava Frank. C’era la guerra? Qualcuno l’avrebbe combattuta. C’era la fame? Mi dispiaceva molto, ma io non potevo certo dare da mangiare a mezzo mondo. C’era chi moriva? Prima o poi tutti moriamo. Io non potevo fare nulla per risolvere questa cose. Lo so che è da egoisti, ma forse era quello che ero, uno schifoso egoista che si preoccupava solo di Frank. Eppure la cosa mi andava benissimo così.
“Ti va di fare un gioco?” gli chiesi.
“Che gioco?” domandò.
“A turno diciamo una cosa che odiamo” proposi. “Così, per sfogo.”
Frank ci pensò un attimo e poi annuì.
“Bene” feci, “comincio io. Odio vedere la gente che soffre.”
“Non ti starai mica riferendo a me?”
Gli scompigliai i capelli affettuosamente e ignorai la sua domanda.
“Okay” fece lui, “odio piangere.” Lo strinsi a me continuando ad accarezzargli i capelli.
Era il mio turno. “Odio quando le presone muoio.” E chi non odia le morti? Solo un pazzo.
“Io odio il fatto che un giorno potrei non vederti più.”
“Cosa?” feci stupito. “Sei impazzito?”
“Non sono impazzito, è vero. Chi ti dice che staremo insieme per sempre? I fatti sono la prova. Ci potevo essere io al posto di Lucy quel giorno.”
Cazzo, aveva fottutamente ragione, ma non ci volevo pensare. Lui adesso era lì con me, e non lo avrei lasciato per nessuna ragione al mondo.
“Tu non morirai Frank, o almeno non nei prossimi ottant’anni. Okay?”
“Va bene” sospirò. “Sta a te.”
“Odio odiare.” Frank mi guardò con una espressione confusa. “Hai capito bene” chiarii. Lui alzò le spalle.
“Nemmeno a me piace odiare la gente” disse. “Mh, odio quando mi sveglio la notte e ho appena avuto un incubo.”
“Perché non me ne hai mai parlato?” Quel giorno stavo scoprendo che Frank non mi diceva molte cose, non perché non si fidasse di me, lo sapevo questo.
“Non lo so” rispose titubante. “Non ti voglio scocciare più di quanto già faccia.”
“Frankie, tu non mi scocci mai, capito? Non dire mai più una cosa del genere e la prossima volta che hai avuto un incubo, svegliami. È un ordine.”
Frank mi sorrise. “Non ti dovresti preoccupare così tanto per me, non mi merito tutto questo.”
“Sh, cazzate. Sta a me, vero?” Frank annuì. “Odio vederti piangere, perché sto troppo male.”
Frank non commentò. Semplicemente mi prese la mano con cui gli stavo accarezzando la testa e me la strinse fra le sue. “Hai le mani fredde” constatò. Frank le aveva bollenti.
“Che ne dici se adesso elenchiamo le cose che amiamo?” proposi.
“Ve bene. Sta a me. Amo…” lasciò la frase in sospeso come se non fosse sicuro al 100% di quello che stava per dire, o come se avesse paura di dirlo. Alla fine concluse la frase, “…te.”
Gli lascia un bacio fra i capelli e lo stinsi ancora più forte. “Anche io ti amo, più di ogni altra cosa al mondo.”
Dopo quella frase non dissi più nulla e nemmeno lui. Dopo un po’ capii che si era addormentato. Io rimasi sveglio per un po’ continuando ad accarezzargli la testa. Lisciavo tutte le sue ciocche scure con le dita e poi le lasciavo ricadere sul mio petto dove stava la sua testa.

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