𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐨𝐭𝐭𝐨

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Era l'alba quando ritornai in camera mia.
Avevo passato l'intera notte lì, seduta sul pavimento freddo, con la schiena poggiata sul muro di pietra, a sentire quel pianoforte che non aveva smesso un secondo di suonare.

Ero riuscita a distrarmi un po' dall'accaduto di quella sera ma il mattino dopo, al mio passaggio davanti a quel maledetto punto, i ricordi riaffiorarono e mi sembrò di rivivere quel momento.

Colpi ovunque, tagli, lividi, sangue.
Ero stata ridotta in fin di vita senza alcun motivo ma la cosa che più faceva male, era che a nessuno era davvero importato delle mie condizioni.
Volevano solo che io non dicessi nulla a nessuno.

La mia voglia di scomparire cresceva ogni giorno di più.

Mi sciacquai di nuovo la faccia, misi il fondotinta ovunque e raggruppai i capelli in una treccia.
Non li curavo affatto, erano diventati un cespuglio.

Saltai la colazione, non volevo incontrare gente.
Volevo restare sola, in pace per qualche ora.

Che novità.

Camminavo per i corridoi in silenzio dirigendomi verso la classe di aritmanzia.
L'aria fresca di metà settembre si sentiva, soprattutto all'alba.
Le giornate si stavano lentamente accorciando, significava che avrei avuto meno pace perché gli studenti si sarebbero ritirati prima.

L'aula era vuota, non c'era nemmeno l'insegnante dato l'orario.
Iniziai a ripassare gli esercizi per quel giorno e dopo un'oretta gli studenti iniziarono ad arrivare.

Il posto accanto a me era sempre vuoto perciò quando sentii il rumore di una sedia che cigolava sul pavimento, sussultai.
Mi girai per vedere chi fosse ma riportai lo sguardo sulla lavagna quando vidi Theodore Nott seduto accanto a me.

"Non si saluta?"
Ammiccò.

E aveva anche il coraggio di scherzare?
Dopo ieri sera, non aveva nemmeno il pudore di lasciarmi in pace?

Decisi di non rispondere nella vana speranza che non dicesse altro ma purtroppo parlò.
"Ti hanno mangiato la lingua?"

Continuai a ignorarlo e temetti che a breve si fosse spazientito.
La verità era che non volevo rispondergli per nascondere il tono di voce tremante.

Mi prese delicatamente il braccio con una mano ma mi scostai subito.
"Non toccarmi."
Sussurrai.

Sospirò e ritrasse il braccio.
"Ero serio quando dicevo che non volevo farti del male, Isabel."

"Non ti credo.
Ieri mi hai guardata mentre mi picchiavano a sangue senza muovere un dito."

"Dovevo farlo."

"Per mantenere la tua 'reputazione'?"
Feci le virgolette con le dita.

"No perché se no avrebbero fatto peggio se mi avessero visto difenderti.
Non hai sentito come hanno attaccato Blaise quando ha detto a Pansy di fermarsi?"

"No, sai com'è, ero impegnata a cercare di non strozzarmi con il mio sangue."

"Continuerai ad avercela con me?"

"Come fai a prenderla così alla leggera?
Credi che sia una sciocchezza tutto quello che mi fanno? Anzi, che mi fate?"
Alzai leggermente il tono di voce.

"Non la prendo alla leggera. Voglio aiutarti ma se continui a respingermi, non riuscirò a farlo."

Scossi la testa guardando il banco.
"Va' via, sta arrivando Draco."
Risposi solo.

Non potevo fidarmi di lui, non ci riuscivo.
Era impossibile che qualcuno al di fuori di Daphne avesse voluto veramente aiutarmi.

Quando la classe si riempii mantenni lo sguardo fisso sul mio libro per non incrociare gli occhi di nessuno.

scars // draco malfoyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora