Capitolo IV

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                                                 Capitolo quarto

Lo scorsi da lontano e anche lui mi vide. Mi corse incontro e letteralmente mi saltò addosso. Non appena le sue braccia furono attorno al mio collo scoppiò a piangere. Cominciai ad accarezzargli la testa e la schiena, ma non si calmava. Jason ci guardava con occhi liquidi; poi si mise a parlare con un medico. Non capii quello che si dissero, so solo che alla fine anche Jason scoppiò a piangere e dopo entrò da quella porta che prima era chiusa.

Frank continuava a singhiozzare sul mio petto, e qualsiasi cosa facessi non smetteva. Pensai che forse era meglio andare in un altro posto, lì c’era troppa gente.

Mentre camminavamo fino ad una stanza vuota, non mi lasciò mai andare. Io, comunque, non lo avrei mai fatto.
Mi sedetti su una delle sedie imbottite che erano state messe in fila e Frank si sedette sulle mie ginocchia appoggiando la testa nell’incavo fra la mia spalla e il mio collo.
Non dissi niente, perché sapevo che se avessi accennato a quello che era successo sarebbe stato solo peggio.
Restammo nel silenzio più completo, finché non fu lui a parlare.
“Starà bene, non è vero?” mormorò con voce tremane dalla mia spalla.
“Certo” risposi. Era la bugia più grossa che avessi mai detto. Non avevo una minima idea delle condizioni di Lucy, sapevo solo che lei e Frank avevano avuto un incidente. Frank stava benissimo, ma Lucy non l’avevo nemmeno vista.
Provai a chiedergli cosa fosse successo, per fortuna non ricominciò a piangere.
“Avevamo appena comprato le mie scarpe nuove” cominciò, “stavamo tornando a casa. Ad un certo punto una macchina è spuntata sulla sinistra e ci è venuta addosso senza fermarsi. Ha preso in pieno l’auto dalla parte in cui c’era Lucy, non so come io abbia potuto uscirne illeso. Quando ho realizzato cosa era appena successo sono sceso dall’auto e altre macchine che passavano di lì si sono fermate e hanno chiamato un’ambulanza. Quando è arrivata, hanno tirato fuori Lucy dall’auto, ma io ho visto solo sangue.” Un singhiozzo gli bloccò le parole in gola e poi anche le lacrime cominciarono a solcargli il volto. Le asciugai con il pollice, ma era come cercare di arginare un fiume in piena a mani nude.
Lo lascia sfogare, non potevo fare altro.
Volevo davvero sapere come stesse Lucy, ma non volevo lasciare Frank, e lui non era in grado di affrontare la verità in quel momento, era troppo scioccato.
Sentivo le scosse del suo petto che si alzava e abbassava violentemente a causa del pianto, e qualcosa mi attanagliò il cuore. Non lo avevo mai visto piangere in quella maniera, o almeno non negli ultimi cinque anni. Non aveva pianto molto nemmeno da piccolo, era sempre stato un tipo orgoglioso e si vergognava quasi a esternare troppo le sue emozioni. Ero rimasto scioccato dalla sua reazione e non sapevo cosa combinare.
Capii che era ora di andare da Jason. Portai Frank in bagno e lo aiutai a sciacquarsi la faccia. Poi ritornammo davanti a quella porta bianca.
Non c’era quasi più nessuno a quel piano, se non qualche infermiera che faceva la guardia notturna. Ne fermai una e le chiesi se sapesse qualcosa riguardo Lucy. Mi sorrise tristemente e così fece con Frank, che però parve non vederla. Ci disse che purtroppo non aveva notizie di Lucy. Allora chiesi ad un uomo con un camice bianco, che pensai fosse un medico, e lui mi seppe spiegare che in quel momento la stavano operando.
Non sapevo se essere sollevato o abbattuto. Insomma, se la stavano operando voleva dire che aveva qualche speranza e che non tutto era perduto, eppure un’operazione è sempre una cosa brutta.
Guardai Frank, che era ancora attaccato a me e gli sorrisi rassicurandolo. Lui mi lanciò un’occhiata vacua.
Mi si strinse il cuore a vederlo in quello stato. “Tranquillo Frankie” gli sussurrai, “andrà tutto bene.” Ed ecco la stessa bugia che avevo detto poco prima.
Rimanemmo nell’ospedale tutta la notte, finché non vedemmo arrivare Jason. Aveva assistito all’operazione da lontano, da dietro un vetro. Ma Lucy non ce l’aveva fatta.
Sentii Frank che alzava la testa dal mio petto e che si staccava da me. Io rimasi fermo dove ero, mentre Jason disse semplicemente che era ora di andare a casa dagli altri, come se non fosse successo nulla.
Durante tutto il viaggio nessuno pronunciò una parola. Frank aveva smesso di piangere, sembrava aver finito le lacrime, Jason invece, aveva finito le parole, e io semplicemente non sapevo come reagire e allora rimanevo inerme.
Quando arrivammo a casa era mattina e Ray ci aspettava seduto in cucina. Tutti gli altri erano a letto. Non appena ci vide arrivare capì subito quello che era successo dai nostri volti.
“Vado a svegliare tutti” disse sbrigativo.
Io mi sedetti attorno al tavolo e Frank mi imitò. Jason prese un pacchetto di biscotti e lo poggiò sul tavolo. Dopo tutto non avevamo cenato, ma sapevamo che nessuno avrebbe mangiato. Nel mio stomaco c’era una pietra che di sicuro non vi avrebbe consentito di ingurgitare nulla.
Sentimmo arrivare gli altri ragazzi, in silenzio, erano ancora tutti mezzi addormentati. Eravamo nove, compreso me, cinque maschi e quattro femmine, dai tre ai diciannove anni.
Si sedettero tutti e cominciarono a pescare i biscotti dal pacco che Jason aveva messo poco prima sulla tavola. Nessuno aveva il coraggio di aprire bocca per dire ai più piccoli quello che era successo.
Alla fine fu Frank a parlare, tossì richiamando l’attenzione di tutti. “Lucy non starà più con noi, forse è in un posto migliore, non lo so. So solo che ci ha voluto molto bene. È stata come una mamma per tutti, ed è questo ciò che conta.”
Frank era stata diretto ma sensibile. Aveva usato le parole perfette. Si voltò verso di me per chiedere la mia approvazione e io gli sorridi affettuosamente.
Alla fine ci riprendemmo un po’ tutti. Il funerale fu veloce, ed eravamo presenti solo noi.
Jason cercava di andare avanti come se non fosse accaduto nulla, ma tutti sapevamo e in quella casa mancava un pezzo importante della mia vita, della vita di tutti.
Comunque, qualche mese dopo, la situazione sembrò stabilizzarsi.

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