Capitolo 40

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? ? 1825 – luogo indefinito

Per me fu come un battito di ciglia. 

Fuori dalle bozanj e fuori da qualsiasi ge'th ci fu un incontro, improbabile quanto insignificante, che innescò una miccia già predisposta. I popoli che hanno visto i ghiacciai usavano dire: "Fu l'inizio della valanga". 

All'interno del monte, Shoum'e aveva vent'anni e una slavina stava per abbattersi sull'Eternità.

Ktobre era una zebra e, con la sua comunità, aveva deciso di stanziarsi per qualche tempo in una radura pianeggiante tra alcune colline. La zona, come le precedenti, era molto secca e arida, ma, nei secoli, quei raminghi avevano imparato a saper ricavare il necessario per sopravvivere in ambienti simili.

Secondo le usanze della sua tradizione, gli venne chiesto di governare fin da bambino e, come fu per il suo maestro e predecessore, superati i trenta inverni, era giunto il tempo di eleggere un nuovo capo. Si allontanò quindi dal villaggio per svolgere un compito che solo lui poteva compiere; era spensierato e rilassato, forse emozionato al pensiero del rituale che avrebbe presenziato nel pomeriggio.

Percorse ad ampie falcate gli ultimi tratti di boscaglia per nascondersi il prima possibile dal suo gruppo; era un momento sacro e non doveva essere visto. Si accovacciò dietro una roccia e riprese fiato sorridendo, non ricordava quest'euforia. Si sistemò la piccola gonnella di canapa e spiluccò uno dei suoi filamenti più logori in un istante di distrazione. Sollevò lo sguardo e cercò di prendere una direzione, ma i lunghi capelli striati lo infastidirono. Li raccolse subito in una coda e la lisciò, rimpiangendo il giorno in cui tagliò la sua vera coda per una colpa che si era preso.

Ricontrollò il poco equipaggiamento che aveva con sé: un mortaio di legno, una sacca per l'acqua, un ciuffo abbondante di alfalfa, una foglia di ninfea arrotolata e il suo coltello di pietra portafortuna; poteva proseguire nella sua ricerca. In testa aveva le istruzioni che il suo defunto maestro gli aveva affidato come un cimelio da tramandare, la loro importanza per lui era data dal ricordo.

Sentì lo scrosciare che desiderava, si stava avvicinando. Finalmente incontrò un ruscello e, grazie a un piccolo roditore che aveva fatto fuggire, capì fosse ancora sano. Poteva riempire la sua sacca e impastare.

Era una grigia giornata estiva, ma tutto ciò che aveva il sentore di quella stagione non c'era più. Attorno a Ktobre, un cimitero di alberi avvizziti e sradicati da vecchie e nuove tormente: in un tempo remoto, lì aveva prosperato un bosco. Il manto erboso si presentava a chiazze, molto spesso ingiallite, e la terra nuda mostrava delle crepe anche vicino al piccolo corso d'acqua.

Mentre il giovane resh be'th rimpiangeva una rigogliosità sconosciuta, si apprestò a impastare acqua, erbe mediche e dell'argilla in polvere, appena scavata in quei pressi, all'interno del mortaio: la poltiglia che stava creando serviva per favorire la cicatrizzazione della vera nascita. Intento a pigiare, osservava l'avambraccio dove gli fu impresso a fuoco un albero fatto da zoccoli e ali. Quel lontano giorno, rinacque come zebra e fu liberato da una maledizione che non aveva.

Si pulì accuratamente le mani deponendo i rimasugli di pasta sulla ciotola di legno, le sciacquò nel ruscello e si asciugò con un panno macchiato e sfibrato con cui si era cinto la vita. Fu in quel momento che la vide: una giovane cormorano, all'incirca della sua stessa età, appena atterrata sull'altra sponda del fiumiciattolo.

Una linea rossa lungo il viso, sull'occhio destro, fu il particolare che lo colpì. Ktobre era a conoscenza del significato di quel segno: era una reietta, una rifiutata dai ge'th. Ma a lui non interessava, era più preoccupato del fatto che un altro resh be'th lo avesse scoperto.

È da sola o ce ne sono altri? Hanno trovato il villaggio?

Sapeva di dover scappare, ma un istinto, che non credeva di avere, lo trattenne. Quella davanti a lui era una donna che, contro ogni logica, trovava stranamente attraente. Rimase lì a fissarla. Nella sua comunità, le donne vestivano una lunga tunica a strisce bianche e nere e solo nell'intimità del legame coniugale era possibile vedere la loro femminilità. La reietta invece indossava una semplice fascia di cuoio lungo il seno poco pronunciato e, sulla vita, aveva quanto bastava per nascondere e proteggere il suo essere donna.

Anche lei fu molto incuriosita da lui, era la prima volta che incontrava una zebra. Mentre si scostava una ciocca piumata color pece, ricordò le strane storie su di loro quando era ancora una cittadina di Prazoor: l'incomprensibile paura di tutto ciò che si muovesse, il dormire di giorno e il muoversi di notte come animali; alcuni le descrivevano anche come figure diaboliche per spaventare i bambini, ma non aveva mai creduto a quelle dicerie. Con il suo passato e la sua nuova vita tra gli Zhareib, la giovane comprese come anche le zebre fossero state discriminate.

Due rappresentanti di due comunità nomadi e isolate si erano incontrati, ipotizzò subito potesse essere una buona occasione per dialogare e per gettare le basi di una sopravvivenza insieme: ecco perché aveva deciso di atterrare in quel punto, dopo averlo notato dall'alto.

Veloce come il vento, si ripresentò l'unico pensiero che suo padre le disse sulle zebre. Gliene parlò nel momento in cui stava per essere esiliata; quelle parole furono sputate come veleno.

"Le zebre sono il male. Quando le incontrerai, la maledizione per non aver compiuto gli onori del tuo animale si abbatterà su di te."

Sperò che la figlia ne incontrasse una.

La cormorano rigettò quel ricordo, avvicinò un'ala sul cuore e aprì la mano in segno di pace e saluto. Vide diffidenza negli occhi della zebra: si era portata una mano dietro la schiena, forse aveva afferrato qualcosa.

I due erano divisi dalle sponde del ruscello e da secoli di discriminazioni, ma, dopo pochi minuti di titubanza, iniziarono a comunicare a modo loro. Dalla mano della cormorano crebbe una piccola piantina di erba medica che, nel crescere, assunse le sembianze di una zebra; Ktobre capì si riferisse all'impasto che aveva appena prodotto. Ai suoi zoccoli c'erano tanti rimasugli di alfalfa, perciò esibì a quella sconosciuta la scodella e indicò il marchio della vera nascita. La cormorano credette dovesse medicarsi la vecchia cicatrice.

La conversazione tra i due durò a lungo mantenendosi così, muta e piena di gesti accompagnati da sorrisi sempre meno imbarazzati e rilassati. Ktobre si ritrovò a pensare di voler attraversare il ruscello per parlarle, ammise a sé stesso che la giovane donna aveva dei lineamenti molto esotici che lo conturbavano. Segreto e peccato stavano assumendo dei colori per niente malvagi. Ma era ancora indeciso, era piacevole indugiare in quel modo con lei e aveva già una storia da raccontare a quello che sarebbe stato il nuovo eletto. Quei pochi minuti lo avrebbero fatto apparire navigato e avrebbero gettato le basi per i dialoghi sulle donne zebra e su come dovevano essere trattate.

Nonostante questo machismo di facciata, era seriamente interessato a quella sconosciuta: era gentile ed era una donna. Il suo sguardo saltellava dalla fascia sul petto agli occhi azzurri, sentì il suo cuore farsi più forte e sorrise con tutta l'anima.

Adesso vado. Voglio sapere il suo nome, voglio conoscere la sua voce.

Iniziò a muovere i primi passi, ma una piccolissima creatura mai vista prima, si arrampicò silenziosamente su un ramo secco vicino alla giovane cormorano. Ktobre la notò e la riconobbe: era il resh be'th più orrendo e immondo che avesse mai visto. Gli occhi da zebra si tinsero di terrore quando vide l'essere scagliarsi violentemente verso la sua nuova amica che, solo ora, si era accorta del pericolo.

Urlarono entrambi e Ktobre lanciò il coltello portafortuna, dietro la schiena, contro ciò che stava attaccando la giovane, volle difenderla. Quell'affilata pietra intagliata era molto importante per lui, gli era stata donata dal padre al termine della sua vera nascita. Da allora, la portava sempre con sé, ma non l'aveva mai usata. Il padre gli ripeteva sempre: "Usala. Usala per il bene, usala per difendere, usala per amore." Ed è quello che fece.

I figli dei SamathDove le storie prendono vita. Scoprilo ora