Vengo a prenderti.

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Riesce a malapena a muoversi per raggiungere le scale mentre avverte un lieve bruciore negli occhi, primo segnale che le lacrime stanno cominciando ad emergere. Non ci crede di aver confessato, urlato, i propri sentimenti a Louis e di come lui lo abbia lasciato lì, senza dire nulla. Continua a fissare la porta laccata di bianco che lui si era chiuso alle spalle, spera di vederlo rientrare e prendersi cura del suo cuore ma è qualcosa che non può accadere, Harry lo sa, lo ha visto chiaramente sul volto del poliziotto: sembrava inorridito e confuso dalla sua confessione.

La stretta alla gola diviene ancora più forte, un secondo in più e sarebbe scoppiato in lacrime ma non vuole farsi vedere debole da sua sorella che è lì, accanto a lui, e continua a cercare parole adatte per ciò che è appena successo.

"Non farlo" - le dice. Non trovare parole che potrebbero giustificarmi, pensa. Non vuole piangere, non vuole che Gemma lo prenda tra le braccia ed inizi a consolarlo come quando erano bambini. Non ha bisogno di nessuno che gli accarezzi i capelli e lo guardi con compassione. Inghiotte più volte a vuote pur di non cedere e trattenere le lacrime.

È seduto su uno dei gradini delle scale ed avvolge le braccia intorno alle gambe, non ha forze per compiere altri passi e raggiungere la sua camera da letto: Harry ha conosciuto dolore e solitudine ma nulla a confronto con questo. È straziante ed abissale, il pensiero di averlo perso di nuovo.

Ha sbagliato. Non doveva tornare, recuperare i rapporti con i Tomlinson, fare quella donazione ed urlare i propri sentimenti ad un Louis arrabbiato e deluso. Voleva solo aiutarlo a respirare un po', ad avere più tempo per suo figlio. Sa quanto duramente ha lavorato per permettere ad Alexander una vita migliore di quella che hanno avuto loro, figli di famiglie distrutte.

Voleva condividere con loro i suoi risparmi come succedeva anche anni prima: ora ha soldi in abbondanza che non gli servono; voleva solo fare del bene al suo migliore amico, non era pietà.

È stato stupido, così stupido da parte sua pensare di potersi redimere con una donazione anonima per tutti gli anni che ha perso al loro fianco. È arrabbiato con se stesso perché Louis gli ha buttato addosso la più dura delle verità: è solo e triste. Scappare dai suoi problemi, trasferirsi a Los Angeles e diventare un attore, non ha cambiato nulla, prova le stesse sensazioni di quando aveva vent'anni ed era bloccato ad Holmes Chapel.

Per quanto possa andare lontano, la solitudine è parte di lui, non è stato così bravo a nasconderla. Eppure in mezzo a questa, tra le sue braccia vuote, c'è ancora la speranza di avere Louis con sé.

"Harry?" - vorrebbe dire a sua sorella di lasciarlo in pace ma non vuole restare solo, accovacciato su un gradino delle scale - "Me ne andrò se me lo chiederai ma lascia che sia qui per te".
"Oh, Harry..." - mormora, accarezzandogli i capelli in un gesto affettuoso.
"Io..." - comincia a dire ma si ferma alla prima parola, il petto gli fa troppo male e non riesce a controllare le lacrime - "Ho rovinato tutto".

Trova conforto nelle mani di sua sorella che gli accarezzano la schiena ed il suo corpo trema dai singhiozzi - "Lo amo e ho mandato tutto a puttane". Sente Gemma che cerca di calmarlo, mormora parole ma suonano distanti da lui.
"Sono così solo".
"Io sono qui, non lo sei".
"Non è vero, sono solo" - la sua voce trema, è un suono sottile che arriva flebile alle orecchie di entrambi eppure riecheggia nella sua testa. Solo. Solo. Solo. Lo ripete come un mantra come una catarsi ogni volta che pronuncia quella parola.

Non sa che ore sono quando il telefono vibra accanto a lui e non sa nemmeno come abbia fatto sua sorella a trascinarlo in camera e rimboccatogli le coperte ma fuori è buio e la casa sembra stranamente silenziosa. Non controlla nemmeno di chi sia il numero che lo sta chiamando - "Pronto?" - domanda, la sua voce è ancora più roca del solito dopo tutto il pianto di quella mattina.
"Harry, non riattaccare".

È Louis. Louis che lo sta implorando di non andare. Dopo tutto ciò che è successo, gli anni e gli eventi di quella stessa mattina, il suo avergli frammentato il cuore, Harry sente ancora un calore irradiarsi nel petto alla voce dell'altro.

"Che cosa vuoi?" - domanda, cercando di sembrare il più possibile arrabbiato. Ha vinto un Golden Globe, può riuscirci. Non vuole mostrarsi debole a Louis, non può.
"Penso..." - mormora dall'altra parte del telefono, Harry fa fatica a sentirlo - "Ho fatto un casino".
"Perchè?"
"Dobbiamo parlare Harry ma io, emh..." - prende fiato, c'è troppa confusione intorno a lui - "Ho bisogno di un passaggio".

Vorrebbe rispondergli di chiamare un Uber, trovare un modo alternativo per tornare a casa senza disturbare lui ed il suo cuore infranto ma non riesce ad essere sgarbato e dispettoso con l'altro - "Dove sei?" - chiede mentre cerca una felpa migliore da indossare - "Vengo a prenderti".
"Sono al bar...Il nostr-il solito bar".
"Okay, arrivo".

La teoria delle braccia vuote || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora