Capitolo 1

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Canzoni per il capitolo:

When I'm gone: Simple Plan

Bye, bye, bye: N*Sync

Haru Haru (Japanese versione): BigBang

Porta con te le cicatrici del mio cuore,
e fai di me il tuo rimpianto migliore.

Se una persona si presenta a casa tua, alle cinque del mattino, bagnato fradicio dalla testa ai piedi, le possibilità sono essenzialmente due: o è uno stalker, oppure è qualcuno seriamente pentito.
Fortunatamente niente stalker in giro - in quel caso sarei dovuta piacere a qualcuno. O quanto meno, se fosse esistito, mi sarei dovuta preoccupare.
Davanti a me invece, ormai da dieci minuti, stava appostato una delle poche persone di cui mi importasse davvero qualcosa.
Dieci minuti interminabili, durante i quali stavamo andando avanti con monologhi davvero banali. Io continuavo a ripetere quanto fosse stupido rivangare una questione passata, ma sembrava non volermi dare ascolto, così egli insisteva a elargire i motivi nauseanti che lo avevo spinto a comportarsi in un determinato modo. Aveva avuto la faccia tosta di ricordarmi la nostra solita routine movimentata. Come se questo potesse cancellare ogni traccia di delusione.

«Mi preme ricordarti che sei stato un vero stronzo!» ribadii, restando appoggiata allo stipite del portone di ingresso a braccia conserte.
Lui roteò gli occhi, dondolandosi sui talloni. Reggeva in una mano le cinghie di un casco lucido e nero, mentre con l'altra, giocherellava con un mazzo di chiavi. La giacca di pelle che indossava, lasciava intravedere il colore rosso scuro della maglietta. Ricordavo quella maglietta. Gliela avevo regalata il giorno del suo diciassettesimo compleanno. Mi meravigliavo del fatto che ancora gli stesse bene.

«Per quanto ancora dovrò ripeterti che mi dispiace?» replicò, con voce stanca. Fece scorrere l'indice sopra il mento, segno che fosse dannatamente sincero.
Io, dal mio canto, mantenni lo sguardo fisso nel suo, abbassatosi per il forte imbarazzo. Le sue guance avevano assunto un colore violaceo, le sue labbra premute in una linea così rigida da farle diventare bianche, la punta del naso arrossato, mi avevano indotto a presupporre che avesse pianto. Lui, che non piangeva mai. Almeno, non davanti a me.

Nonostante questi dettagliati accorgimenti, non riuscii ad intenerirmi. Era stato un ottimo amico, dovevo dargliene credito, ma dopo l'inferno in cui mi aveva trascinata, dimenticai i momenti migliori trascorsi insieme.
«Jace», sospirai afflitta. «Tu non capisci la gravità della situazione. Eravamo amici, io mi fidavo di te. Perché hai detto quelle cose?» domandai incerta.

Jace O'Brien, era stato forse uno dei pochi su cui, precedentemente, avessi fatto affidamento. Non mi sono mai potuta lamentare riguardo la sua benevolenza, il più delle volte ne dimostrava anche troppa, però dopo quell'ultimo giorno di scuola, a Giugno, capii quanto effettivamente ci si potesse sbagliare su qualcuno.
«Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio», è un principio guida che chiunque dovrebbe selezionare come personale mantra. Io stavo giusto provvedendo.

Mi ero resa conto di non conoscerlo abbastanza bene come pensavo, il che è risultato non solo caldamente rivelatore, ma anche tremendamente doloroso.

Quando si apre il cuore a qualcuno, lo si fa consapevolmente, e senza rimanere e pensare se sia giusto o sbagliato.
Jace era entrato nel mio fin dall'infanzia, e non avevo trovato alcun modo di liberarmene.
«Ero nel panico, i miei compagni di squadra insistevano, così ho raccontato un piccola bugia», spiegò senza mezzi termini, mentre le parole precipitavano in picchiata dalla sua bocca.
Risi ironicamente, allungando una mano verso il suo petto per allontanarlo da me. Si era avvicinato incredibilmente troppo negli ultimi tre secondi, e non volevo indurlo a credere che mi stesse bene. Che bugiarda patentata.

Worst Love [Luke Hemmings]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora