II. Raon

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Non avendo amici e non potendo uscire dalla villa, la sua curiosità si era concentrata sui servi; tutte le attività che svolgevano, anche quelle più banali, erano diventate per lei motivo di interesse. E finiva sempre per soffermarsi su una persona in particolare, Raon. Passava tutto il tempo libero così, la vista magica puntata su di lui e il cuore che palpitava anche più di quando Falibor la rimproverava. Ma il ragazzo non l’aveva mai fatta inalberare… come avrebbe potuto, se non si erano ancora parlati?

Quel pomeriggio, le erano rimasti da portare a termine solo alcuni esercizi di controllo senza gestualità, così aveva deciso di farli più tardi; prima si sarebbe dislocata nelle cucine. In precedenza, aveva usato il teletrasporto soltanto una volta, per fare uno scherzo a Naisha, la quale naturalmente si era infuriata e le aveva proibito di riprovarci, lamentando qualcosa riguardo al suo debole cuore.

Elydia era apparsa nella dispensa, l’odore dolce-speziato della frutta secca che le solleticava il naso.

Raon aveva lasciato cadere il sacco che stava trasportando e la farina si era rovesciata, sollevando una nube polverosa. Il ragazzo aveva starnutito, mentre lei era scoppiata in una risata incontrollata. Nonostante le braccia e gran parte degli abiti fossero ricoperti dal velo bianco della farina – anzi, forse proprio per quello – Raon era davvero carino. Il fisico prestante e l’aria ingenua gli donavano un fascino tutto suo.

“Ciao!”

“Co-cosa ci fate qui, signora?” aveva risposto lui, tenendo lo sguardo basso.

Lei aveva sorriso, sentendosi chiamare in quel modo. “Lo sai il mio nome, Raon?”

“Sì, signora: siete Lady Elydia.” L’aiuto cuoco era indietreggiato, mentre cercava di pulirsi i vestiti, dimenticando così il sacco che doveva portare in cucina.

Lei lo aveva osservato dall’alto verso il basso, lentamente. Aveva i capelli bruni, scompigliati in modo da nascondere le orecchie, ma da lasciare scoperta la fronte alta. C’era dignità nei suoi occhi verdi; le ricordavano quelli di Falibor per il colore, ma erano diversi. Mancava qualcosa: mancava qualsiasi ombra di malizia.

“Vorrei chiederti una cosa,” gli aveva detto alla fine.

Raon era parso preoccupato. Si era umettato le labbra color pesca, incurvandole. Erano come una ‘S’ piegata e allungata; l’avevano colpita subito.

“Allora?” aveva insistito Elydia.

Il ragazzo alla fine aveva ceduto. “Dite pure! Ma fate presto ché devo tornare nelle cucine!” Con agilità, si era inginocchiato per raccogliere da terra quanta più farina poteva, riversandola nel sacco, i muscoli delle braccia che si flettevano contro le maniche arrotolate, senza mostrare segni di stanchezza.

“Un bacio, vorrei un bacio. Da te!” Ecco, gliel’aveva detto.

Una maschera di terrore si era formata sul viso gentile di Raon, come se lo aspettasse la stanza delle torture.

Lei aveva appoggiato la schiena alla credenza per reggersi; gli unici suoni che le giungevano alle orecchie erano quelli del battito del suo cuore. Maledizione!

Poi Raon, improvvisamente, l’aveva baciata. Era stato tanto veloce quanto dolce, come la carezza della rugiada sui petali di un fiore. E aveva svegliato parti di lei che non conosceva ancora…

Le urla della capo cuoca avevano rotto la magia di quel momento.

Il ragazzo, indietreggiando, aveva recuperato il sacco ed era corso via, senza neppure voltarsi a guardarla.

Qualche giorno più tardi, Elydia aveva provato ad avvicinarsi nuovamente a lui, ma era stata respinta in modo sbrigativo. Credeva di non piacergli, che l’avevabaciata soltanto perché era la ‘signora’, perché gliel’aveva ordinato lei.

Odio la MagiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora